lunedì 26 ottobre 2015

Mi chiamo Aylan (di Alessia Raso)

Mi chiamo Aylan, ho 3 anni e vengo dalla Siria. La mia mamma si chiama Rehan, mio fratello invece si chiama Galip e mio padre si chiama Abdullah. Eravamo tutti insieme su un barcone che ci stava portando dalla Turchia, verso la libertà, quando il barcone si è ribaltato e siamo finiti in acqua, l’ultima cosa che ho visto è stato mio padre che cercava di salvarci poi tutto bianco.
Io sono Aylan e sfortunatamente non so nuotare, ma so sognare e quindi sorrido. Ora sono seduto su una spiaggia vestito di bianco e mi sento bene, non ho sofferto. Sul bagnasciuga c’è il mio corpo, noto una donna che gli scatta foto, poi un soldato lo porta via. Mia madre e mio fratello sono in cielo, ma io no, forse sono stato cattivo o forse devo fare qualcosa qui in questo mondo.


In quel momento noto una cosa, un po’ più in là c’è il corpo di mio fratello e anche se so che lui non è lì mi avvicino e gli accarezzo il viso pallido. Ora sento la mancanza del mio papà e quindi andrò a cercarlo. Vago per le strade, ad un certo punto entro in una casa, la TV è accesa e c’è il telegiornale che fa vedere il mio papà che rilascia un’intervista, sembra molto triste. Al momento è in questa città e quindi vado subito da lui; è tutto solo su una panchina fuori dalla stanza mortuaria, quando mi vede  si stropiccia gli occhi, ma quando capisce che io sono veramente lì gli scende una lacrima per la felicità, gli altri non mi vedono, ma lui sì, perché ne ha veramente bisogno. Cerca di abbracciarmi ma naturalmente non ci riesce, non dice una parola, ma mi sorride e questo fa sorridere anche me. A quel punto gli faccio cenno di seguirmi e lui mi si accosta e andiamo insieme in riva al mare; solo a quel punto mi chiede: – Perché mi hai portato qui?
E io gli rispondo sorridendogli – Perché era il nostro sogno attraversare il mare.
Lui a quel punto mi dice – Questo mare si è rivelato una trappola mortale, sarebbe stato meglio se fossi stato io a morire non tu che avevi tutta la vita davanti.


Scuoto la testa – Io sto bene e tra poco andrò in Cielo tra le braccia di Dio, ti seguirò da lassù con la mamma e Galip e poi quando sarai vecchio tu ci raggiungerai.
Papà non sembra ancora convinto e mi chiede: – Ma non sarebbe meglio se io vi raggiungessi adesso?

Io gli faccio segno di no con la testa e gli sorrido poi raccolgo da terra una pietra, un po’ di sabbia e prendo dell’acqua, con essi forgio un ciondolo che si può aprire e ci metto dentro una foto di tutta la famiglia che il mio papà aveva in tasca. Gliela metto al collo; a quel punto gli mando una bacio e vengo avvolto dalla luce, lui intanto mi saluta, non mi sembra triste perché adesso sa che stiamo bene e che tra molti anni ci rivedremo.

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