domenica 19 febbraio 2017
sabato 18 febbraio 2017
La pigrizia uccide (di Andreea Sarmasan)
Mark è un brav’uomo molto ricco. Possedeva
una banca: la “Imprenditorial2050”, ma ora è comodo sul suo divano a guardare
la TV, come sempre tra l’altro.
Ormai si era nel 2050 e il mondo
era pieno di robot e macchine tuttofare. Le strade erano deserte senza anima
viva.
Gli uomini, tutti gli uomini
erano grassi, anzi obesi. Le macchine facevano tutto, anche fabbricarsi da
sole. La robot-casalinga puliva la casa nei minimi dettagli, ma non buttava la
spazzatura, questa veniva risucchiata attraverso il camino da un “aereospuzza”,
l’ultima invenzione.
Anche per accendere la TV c’era
un robot: era uno strano robot telecomando con braccia e gambe sottili.
Gli umani erano molto comodi
grazie a questi robot. Così grassi non riuscivano nemmeno ad alzarsi e il
divano divenne la loro dimora. La cosa che gli umani non sanno è che le loro
tanto amichevoli macchine vogliono la loro sparizione: è questo il motivo dei
loro servizi perfetti. Un piano geniale!
Ormai il gioco era fatto, bastava
solo eliminare quegli esseri di carne. Ma in che modo?
La robot-casalinga propose un’uccisione
istantanea con un laser perché tanto non potevano scappare, erano troppo
ciccioni.
L’aereospuzza non era d’accordo:
bisognava farli soffrire come aveva sofferto lui portando via tutta quella
spazzatura. Un modo era di imprigionarli e di renderli schiavi facendoli
lavorare duramente fimo allo sfinimento senza un attimo di pausa. Non dargli
cibo per giorni, come loro non li avevano messi in carica, ma volevano che
quelle povere macchine lavorassero come quando erano al 100%.
Tutti i robot erano d’accordo con
aereospuzza e decisero di utilizzare quel piano per il comando supremo della
Terra.
Esattamente 1 anno dopo, il 15
giugno 2051, le macchine e i robot cominciarono la loro vendetta prima
chiudendo ermeticamente porte e finestre dicendo all’uomo che era solo un
piccolo guasto del sistema di allarme.
Subito dopo li ammanettarono e li
portarono in un luogo grigio, buio e privo di colori, tipo n campo di
concentramento.
Ora non si può più far nulla: la
Terra è invasa dai robot e gli man i sottomessi. Questa è la NUOVA ERA.
Caramelle aliene (di Aurora Leccese)
In un pianeta lontano dalla
Terra ci fu una guerra tra alieni; io ero una piccola aliena appena nata e i
miei genitori, gli imperatori del pianeta sotto attacco, per proteggermi mi
misero in una navicella con destinazione: “Pianeta Terra”. Prima di lanciarmi
nello spazio mia madre mi disse: “Appena arrivata a destinazione mangia la
caramella rossa!” Io le chiesi a cosa servisse e lei mi rispose: “A diventare
una di loro!” Non mi diede manco il tempo di chiederle: “Loro chi?” che mi
salutò e mi lanciò nello spazio.
Dopo 17 anni arrivai a
destinazione, seguii gli ordini di mia madre e mangiai la caramella, mi sentii
qualcosa di diverso in me, mi guardai le mani e mi spaventai ma dopo aver capito cos’ero
diventata, guardandomi attorno, mi resi conto della situazione e uscii dalla
navicella; in fondo gli esseri umani non
sono tanto diversi da quelli del mio pianeta.
Andai in giro e incontrai essere umani strani, uno in
particolare lavorava in un bar: era molto carino. Entrai dentro al bar, io lo
guardai lui mi guardò e mi venne incontro e mi chiese: “Ci conosciamo?”
Io gli risposi: “No, mi sono
appena trasferita!”
Lui mi prese e mi portò nel
retro e mi richiese: “Sei sicura che non ci conosciamo?” E io gli ripetei di
no.
Lui mi disse: “Tu non sei di
questo pianeta! O mio dio tu sei un’aliena come me!!!”
Io incredula gli risposi: “Si,
ma come fai a saperlo? Ci conosciamo? Siamo dello stesso pianeta?”
Lui sorridendo mi rispose: “Sì
ci conosciamo: i nostri genitori ci hanno lanciato nello spazio per salvarci
durante la guerra, sono l’alieno che stava sempre attaccato a te non ti
ricordi? Pazzesco!”
Io pensierosa risposi: “Ah sì,
mi ricordo di te! Ma anche i tuoi ti hanno lasciato un’altra caramella blu? Sai
a cosa serve?”
Lui mi rispose: “Sì, serve
per tornare nel nostro pianeta, per sapere il momento giusto per tornare
dobbiamo aspettare che la caramella diventi gialla, che vorrebbe dire che la
guerra è terminata e possiamo tornare senza pericolo; in teoria dovrebbe
diventare gialla all’alba di domani!”
Io gli risposi: “Partiamo insieme,
ci mettiamo d’accordo dove incontrarci e quando?”
Lui mi rispose di sì. Dovevo
essere dove mi ero schiantata con la navicella prima dell’alba dell’indomani!
Il giorno dopo ci
incamminammo verso le navicelle, le caramelle diventarono gialle come aveva
detto il mio amico, le mangiammo e siamo tornati nel nostro pianeta d’origine.
venerdì 17 febbraio 2017
Il nuovo computer (di Martina Bessone)
Un giorno una classe di ragazzi va nell’aula di informatica e
trovano qualcosa di diverso: un computer dell’ultima generazione nuovo
fiammante!
Il più bravo della classe prende il computer nuovo per fare
una partita a scacchi perché diceva che nessuno lo batteva, soprattutto un computer.
Dopo un po’ di tempo che stava perdendo, inizia ad
arrabbiarsi con il computer: sbatte il mouse e schiaccia bottoni a caso. Dopo
un po’ che lo sbatteva, il computer inizia a dare delle scosse sempre più forti
e penetranti. Ad un certo punto il ragazzo si calma, solo che il computer aveva
preso possesso di lui e del suo corpo: quindi il ragazzo inizia a muoversi come
un robot e a installare dei programmi su tutti gli altri computer.
I suoi compagni lo chiamavano ma lui non rispondeva e come ti
avvicinavi ti prendeva per il collo e ti sbatteva via come un sacco di patate. Poi
non solo quel computer ma tutti cominciarono a dare scosse. Allora i ragazzi
presero il computer nuovo e lo portarono in cortile per distruggerlo, solo che come
lo toccavi lui dava una scossa e ti faceva diventare come il primo ragazzo.
Per fortuna il più sfigato della classe aveva letto un libro
che parlava dei computer e quindi andò dalla bidella a chiedergli dei guanti in
gomma perché così non gli arrivava la scossa. Lui aveva capito il perché di
questo comportamento del computer perché il suo compagno quando aveva schiacciato
i bottoni a caso aveva scatenato un virus molto potente che porta al
surriscaldamento del computer causando quelle scosse così forti.
Dopo un po’ di tempo anche i suoi compagni si erano
ripresi e lo ringraziarono infinitamente; solo che il primo compagno che aveva
fatto tutto quel casino era morto fulminato.Driinnn (di Daniele Casetta)
Driinnn… la campanella è suonata… tutti fuori a giocare… tutti tranne Marco Pirotti. Era un tipetto basso, magro, isolato dal mondo intero, e l’unica cosa che faceva era giocare a minecraft al computer, e sempre allo stesso computer. Aveva voti bassi ed era un po’ lo sfigato della situazione, difatti lo deridevano tutti; io invece ero l’unico che stava un po’ con lui… o per lo meno a degnarlo di qualche discorso.
Tutto cambiò nel giro di pochi giorni. Notai che oltre a passare tutti gli intervalli attaccato al computer aveva incominciato a rimanerci anche più tempo, pur sapendo che i professori poi lo avrebbero sgridato. Incuriosito da questo strano atteggiamento decisi di seguirlo e spiarlo. Quando entrai nell’aula computer non credetti ai miei occhi… Marco era collegato al computer tramite un cavo, non riusciva a muoversi e guardava fisso lo schermo senza batter ciglio.
In quell’istante Marco si girò e mi guardava fisso nello stesso modo in cui guardava il computer, con disinvoltura staccò il cavo collegato a lui e uscì dalla stanza senza salutarmi.
Mi misi a ispezionare il computer “maligno” , ma si leggeva solo “ERRORE DURANTE IL FUNZIONAMENTO” e non si sbloccava. Per tre notti non riuscii a dormire e continuavo a pensare a cosa era successo. Marco era diventato sia nei movimenti che nei pensieri un robot come si intuiva dal fatto che era diventato uno studente modello.
Decisi di raccontarlo ai miei compagni che inizialmente non mi credettero ma che pian piano incominciarono a farsi qualche idea. Bon, il giorno era deciso ci organizzammo spegnendo prima la corrente della scuola, poi spegnendo la linea per internet e infine buttando giù il computer dalla finestra facendo credere che era stato un ladro.
Nel preciso istante che il computer si ruppe si sentì come una botta di qualche forza sconosciuta. Scappammo via a gambe levate e tornammo in classe.
È da quel giorno che Marco diventò amico di tutti noi; ridendo scherzando, era diventato finalmente una persona normale anche se gli rimase come una cicatrice l’odio per la tecnologia.
Tutto cambiò nel giro di pochi giorni. Notai che oltre a passare tutti gli intervalli attaccato al computer aveva incominciato a rimanerci anche più tempo, pur sapendo che i professori poi lo avrebbero sgridato. Incuriosito da questo strano atteggiamento decisi di seguirlo e spiarlo. Quando entrai nell’aula computer non credetti ai miei occhi… Marco era collegato al computer tramite un cavo, non riusciva a muoversi e guardava fisso lo schermo senza batter ciglio.
In quell’istante Marco si girò e mi guardava fisso nello stesso modo in cui guardava il computer, con disinvoltura staccò il cavo collegato a lui e uscì dalla stanza senza salutarmi.
Mi misi a ispezionare il computer “maligno” , ma si leggeva solo “ERRORE DURANTE IL FUNZIONAMENTO” e non si sbloccava. Per tre notti non riuscii a dormire e continuavo a pensare a cosa era successo. Marco era diventato sia nei movimenti che nei pensieri un robot come si intuiva dal fatto che era diventato uno studente modello.
Decisi di raccontarlo ai miei compagni che inizialmente non mi credettero ma che pian piano incominciarono a farsi qualche idea. Bon, il giorno era deciso ci organizzammo spegnendo prima la corrente della scuola, poi spegnendo la linea per internet e infine buttando giù il computer dalla finestra facendo credere che era stato un ladro.
Nel preciso istante che il computer si ruppe si sentì come una botta di qualche forza sconosciuta. Scappammo via a gambe levate e tornammo in classe.
È da quel giorno che Marco diventò amico di tutti noi; ridendo scherzando, era diventato finalmente una persona normale anche se gli rimase come una cicatrice l’odio per la tecnologia.
La fine degli Uraniani (di Davide Peretti)
Erano passati 368 anni dallo
sbarco degli alieni provenienti da Uranio 2; assomigliavano a noi esseri umani,
ma con la differenza di avere una coda lunga con la punta munita di un
pungiglione e la testa allungata. Erano arrivati con navicelle lunghe,
metalliche cromate ed enormi…
Ero l’unico sopravvissuto con il
mio fedele cane. Ero un ex marine quindi avevo un arsenale a casa per
difendermi da quei luridi extraterrestri. Tutti gli altri erano stati uccisi e
portati sulle navi per il sezionamento.
Ogni giorno andavo sempre più
vicino alla nave madre distruggendo torrette e alieni; arrivato dentro il bosco
vidi la nave madre colorata di un nero cromato, entrai uccidendo le due guardie
che facevano da vedetta, mi ritrovai dentro un salone enorme dove vidi il “nucleo”
(una pietra che teneva in vita gli alieni). Gli sparai, ma all’istante
entrarono una ventina di guardie munite di fucili e iniziarono a sparare.
Cercai di ucciderli tutti, ma ne
restò uno, il capo, munito di un’armatura lucente e impenetrabile con un fucile
tecnologico che mi ferì alla spalla. Mi rifugiai sulla scala e vidi una parte
scoperta dell’armatura, sparai tre colpi e il mostro cadde a terra.
Poi con una granata feci saltare
in aria il nucleo distruggendolo e tutti gli alieni sulla Terra morirono e gli
uomini si risvegliarono da quel sonno eterno e distrussero le navicelle e
iniziarono a ricostruire le città. Un nuovo inizio per l’umanità.
giovedì 16 febbraio 2017
Brrr che freddo (di Elena Brignoli)
Brrr che freddo, sto gelando… ma
dove sono le coperte, non riesco a trovarle, non riesco a muovermi. Dove sono,
cosa sono? Vicino a me ci sono dei ripiani, dei contenitori, del prosciutto,
una bistecca, formaggio… sono in un frigorifero, sono un tappo: un tappo di
bottiglia!
Sono in cima a una bottiglia
d’acqua. Ma com’è possibile? La porta del frigo si apre, si accende la luce,
una mano mi afferra. E mi posa su un tavolo apparecchiato. È la mano di una
mamma che chiama suo marito e i suoi figli per pranzare.
Che bella famiglia, come sono
allegri! Hanno finito l’acqua, che ne sarà di me? La mano del papà mi prende e
mi usa per chiudere una bottiglia di vino. Che puzza! Non mi piace l’odore del
vino. Ehi! Dove mi stanno portando? Mi posano in cantina, beh, non è fredda
come il frigo. Scende la sera ed ecco che arriva la mamma e mi rimette sul
tavolo per la cena.
Ci sono ospiti: i nonni. Due
simpatici vecchietti che coccolano i loro nipotini. Il vino è finito… splash…
mi mettono a mollo nell’acqua per lavarmi; meno male, così mi tolgo l’odore di
vino da addosso.
Dopo una bella sciacquatina mi
mettono sullo scolapiatti. Passa la notte e al mattino una manina mi prende e
tappa un succo di frutta. Mi mette sul mobile della cucina e sto lì fino
all’ora della merenda, quando la stessa manina del mattino mi prende, finisce
il succo e mi mette nel cassetto.
Oggi è il compleanno del papà e
per festeggiarlo ci sono un po’ di amici. È una bella festa, si canta, si balla
e si stappano bottiglie di champagne. Alla fine della festa la mamma riordina
la casa. C’è una bottiglia con ancora dello champagne dentro; la mamma mi
prende per tapparla e poi… in frigo.
Durante la notte mi sento spingere:
è la schiuma dello champagne che sale e vuole uscire. Mi spinge, sempre più
forte, fino a quando boom!, mi fa saltare in alto! Ahia che male! Ma dove sono?
Sono caduto dal letto. Era solo
un sogno…
sabato 11 febbraio 2017
UDI (di Alessandra Battello)
Non pensavo che fossero così complicate le macchine, così
intelligenti. Era il 2025 (ora è il 2036); a quel tempo nessuno aveva ancora un
proprio robot in casa, fino a quando, un giorno venne lanciato sul mercato un
robot chiamato UDI (Unità Digitale Intelligente). Tutti erano emozionati
soprattutto per il prezzo bassissimo a cui si vendeva. Ne acquistai uno
anch’io.
Inizialmente sembrava funzionare perfettamente, finché un giorno le
persone cominciarono a lamentarsi con le fabbriche perché le macchine sembravano
ribellarsi alle richieste dell’uomo. Per un periodo il mio robot era ubbidiente
e cordiale, finché un giorno tornai a casa e sentii la mia cagnolina guaire,
allora corsi seguendo quel verso fiacco e soffocato e arrivai sul balcone che
dava sulla strada. Il mio robot teneva il cane per la collottola mentre lo
sporgeva al di fuori della ringhiera. Gli ordinai di metterlo a terra ma lui mi
disse che non poteva. Io lo guardai e notai che aveva una specie di chip sul
collo. Mi avvicinai e provai a toglierglielo ma non c’era verso di staccarlo da
lì. Poi ad un certo punto il robot portò il cane in casa e lo scaraventò contro
il muro, mi guardò e uscì. Io corsi verso la cagnolina che era sdraiata a
terra, la presi in braccio e la coccolai un po’ poi mi venne in mente una cosa:
prima che il robot se ne andasse c’era stato un suono assordante al quale la
macchina sembrò rispondere, come se un’unità superiore lo controllasse.
Poggiai il cane sul divano e uscii a cercare UDI: tutti i robot
andavano nella stessa direzione allora li seguii fino ad una casa. Entrarono lì
e dopo un po’ uscirono tutti come se nulla fosse.
Entrai subito dopo. Analizzai il luogo: lì c’era un omino dietro un
computer che smanettava con i tasti. Era una stanza buia, l’unica illuminazione
era la luce che usciva dal monitor del computer. Ogni tanto si sentiva un “bip”
assordante. Allora capii tutto: quell’uomo controllava i robot tramite i chip
sul collo. Tutti dicevano che i robot erano arroganti, maleducati e
irrispettosi, ma l’unico essere spregevole e arrogante, era l’uomo.
giovedì 9 febbraio 2017
E' tutto vero! (di Cinzia Amparore)
Ero lì, in
mezzo alla foresta, da sola senza nessuno. Ad un certo punto sentii il rumore
delle foglie e da un cespuglio saltò fuori un grosso leopardo. All'inizio ebbi
paura e mi misi a correre, ma poi sentii che qualcuno mi chiamava e quindi mi
girai e con grande stupore scoprii che era proprio il leopardo. Pensai che
fosse un sogno, perché l'unica cosa che mi ricordavo è che prima di ritrovarmi
da sola nella foresta stavo camminando con i miei amici proprio in quel posto.
Mi dissi poi tra me e me che non era possibile che stessi sognando perché io
non mi ricordavo di essermi addormentata. Io e il leopardo facemmo un'intera
conversazione e più lo ascoltavo più il mio dubbio di sognare cresceva. Quando
lui si allontanò per andare a chiamare la sua famiglia per farmela conoscere io
capii che stavo sognando ma che volevo godermi il sogno e che quindi non ci
avrei pensato. Arrivò presto la sera e io non mi ricordavo come tornare a casa
però poi pensai che se stavo sognando non c'era il bisogno che andassi a casa.
Passarono così le settimane, i mesi e io iniziai a preoccuparmi perché non mi
ero ancora svegliata. La famiglia del leopardo era molto gentile con me e
decisi quindi di raccontargli ciò che mi era successo e loro mi dissero che non
sapevano se stessi sognando, ma che mi avrebbero accudita come genitori fino a
quando sarei stata con loro. Io e il cucciolo più grande del leopardo
diventammo grandi amici e giocavamo tutto il giorno insieme. Un giorno però il
cucciolo sparì, lo cercammo per tutta la foresta e alla fine lo ritrovammo
morto. Il mio dolore era grandissimo non avrei mai pensato di soffrire così
tanto per un animale, ma pensandoci bene io soffrivo per un grande amico.
Quella notte decisi di incamminarmi verso la città perché pensavo di essere solo
d'intralcio in quella famiglia. Arrivata in città andai a scontrarmi con un
ragazzo e quando mi girai vidi che era un bel ragazzo e quindi mi affrettai a
scusarmi. Iniziammo a parlare e ad un certo punto le nostre facce si stavano
avvicinando, allora chiusi gli occhi ma quando li riaprii mi ritrovai nel mio
letto. Iniziai ad agitarmi e a farmi domande tipo: Era tutto un sogno? Stavo
dormendo? Era tutto falso? Perché? Perché?! Andai in camera dei miei e gli
chiesi da quanto dormivo e cosa mi era successo, e loro mi raccontarono che
dopo la camminata andai a casa di Giorgia e visto che ero molto stanca mi
addormentai, i suoi genitori, allora, decisero di portarmi a casa senza
svegliarmi, poi mi misero nel letto dove avevo dormito per ben 12h. Non capivo,
quel sogno era così vero, non era possibile che tutte le emozioni che avevo
provato verso quella famiglia di leopardi erano solo un sogno. Decisi di andare
alla foresta per vedere se ritrovavo quel leopardo che mi aveva tanto accudita.
Iniziai a cercarlo dappertutto e ad un certo punto lo vidi, però non mi
parlava, sembrava arrabbiato, non capivo magari era veramente un sogno. Non ero
ancora convinta al cento per cento e quindi mi avvicinai ma lui si allontanò.
Pensai che forse era arrabbiato con me perché me n'ero andata senza avvisarlo.
Ero triste, stavo per scoppiare a piangere ma poi sentii Giorgia chiamarmi,
allora mi voltai e le corsi incontro abbracciandola. Stemmo cinque minuti in
silenzio abbracciate poi mi chiese se volevo andare a casa sua e io accettai
senza pensarci. Prima di uscire dalla foresta mi voltai e vidi il leopardo che
mi fece l'occhiolino, pensai di aver visto male allora mi strofinai gli occhi e
riguardai e vidi che il leopardo mi fece di nuovo l'occhiolino. Non capivo, ERA
TUTTO VERO, ma a questo punto salta fuori un'altra domanda: Perché i miei mi
avevano mentito?
Continua...
mercoledì 8 febbraio 2017
Mattyxx2 (di Alessia Raso)
Al mio risveglio mi ritrovo
appeso all’asta della bandiera con addosso solo una gonna. Subito non capisco
cosa sia successo ma capisco tutto quando vedo i miei compagni farmi foto e
video e gridarmi: “Martin sorridi!”, “Martin balla per noi!”. Comunque non è la
prima volta che succede una cosa così e non sono stupito così tanto. Di scherzi
me ne fanno ogni giorno. Ieri ad esempio mi hanno appeso la bici agli alberi.
Dopo circa una mezzoretta però
arriva la mia salvatrice, nonché mia unica amica e ragazza più carina della
scuola, Crissy, che ordina al suo ragazzo, Matt, ottuso pallone gonfiato e star
del football, di farmi scendere.
Così dopo essermi rassettato mi
dirigo in classe con Crissy, mi piace davvero questa ragazza ma ovviamente per
lei sono solo un amico. Dopo le lezioni mi fermo nella classe di robotica per
lavorare al mi più grande progetto: Mattyxx2. È un robot a cui lavoro da un
anno ma che non ho ancora completato, è identico a me e l’ho progettato perché
mi protegga e mi aiuti a “essere più figo”. Magari quando lo finirò potrei
anche diventare “il più figo”. Per adesso però questo è solo un sogno perché mi
manca la sostanza che lo farà “vivere”. Sto provando a mettere nel motore varie
cose, ma niente sembra funzionare.
Ormai scoraggiato provo con il magnus e Mattyxx2 si alza in piedi e mi
saluta. I suoi movimenti sono spontanei e per nulla robotici, ha il mio viso ma
appare molto più “giusto” di me. A pensarci bene, sono un po’ geloso di lui. Lo
saluto anch’io e lui mi dice: “Come va fratello?” e mi batte il pugno. Anche la
sua voce è migliore della mia ma faccio finta di non accorgermene e iniziamo a
parlare.
Il mattino seguente chiedo a
Mattyxx2 come posso fare a farmi piacere alle persone, specialmente a Crissy. E
lui mi dice: “Basta che ti comporti come me, seguimi di nascosto per un’oretta
e vedrai!” Sono un po’ dubbioso ma non contesto e faccio come mi dice.
Mentre cammina per il campus
tutti lo guardano ammirati e quando incontra Crissy, anche lei lo guarda come
non aveva mai guardato me. Li ho seguiti e ho notato che Mattyxx2 era un po’
troppo interessato a lei.
Il giorno seguente, quando sto
andando in classe, saluto Mattyxx2 che mi dice: “Martin, posso sostituirti
anche oggi!” Io mi rifiuto e iniziamo a litigare e presto a picchiarci.
Mattyxx2 è troppo forte per me e mi chiude a chiave in uno sgabuzzino.
Ora è tutto chiaro: Mattyxx2
vuole la mia vita e ora se l’è presa! Mattyxx2 non è mai tornato e ora che sono
morto mi pento di non aver apprezzato la mia vita e ciò che avevo.
lunedì 6 febbraio 2017
Pietra della speranza (di Davide Pipino)
Quel giorno mi svegliai presto, verso le sette e mezza, che
è l’orario giusto, ma ero abituato a svegliarmi dopo e arrivare tardi a scuola.
Mia mamma era addirittura sorpresa e, con sarcasmo, mi chiese
se dovevo andare da qualche parte e mi servì la colazione, io risi ma il bello
era che aveva ragione; la notte scorsa avevo visto una luce provenire dal bosco
e non potevo resistere, dovevo capire cos'era.
Mi sono subito diretto verso il cuore della foresta, io lo
conosco bene questo bosco, mio padre mi ci portava sempre quando volevamo
vedere le stelle. Mio padre era un astronomo, almeno, lui si reputava un
viaggiatore delle stelle però non importa. Ho visto un piccolo cratere e al
centro c’era una strana roccia, era trasparente, sembrava vetro, ma non lo era;
la toccai, scottava, il che era comprensibile visto che credevo fosse
precipitato dallo spazio, allora, visto che ero in ritardo, la misi nella
cartella e corsi a scuola. Durante la lezione non riuscivo a stare attento,
pensavo a che cosa potesse essere quella pietra. Perciò non vedevo l’ora di
tornare a casa e farci degli esperimenti.
Tornato a casa provai a lanciarlo e vidi che con il vento si
lasciava trasportare via e quindi era più leggero di quanto sembrasse, dunque
arrivai alla conclusione che era un pezzo di un’astronave, beh, era una
conclusione affrettata, però aveva il suo perché; ma perché questo oggetto è
caduto? Perché in Texas, a Greensites? Ovviamente di questo oggetto non ne
parlai con nessuno.
Non sapendo cosa fosse mi venne l’idea di andare in
biblioteca e cercare nei libri la risposta, è vero non mi piace leggere, ma per
la curiosità si fa questo ed altro. Cercai dappertutto ma niente.
Mentre tornavo a casa ci fu una grande esplosione, erano gli
alieni con un’astronave, io corsi subito a casa e con mia madre ci rifugiammo
nel bosco e li vedemmo arrivare con l’astronave. In un secondo distrussero tutta
Greensites.
Ci scovarono dopo una settimana e ci portarono a New York,
per lo smistamento. Era incredibile: in una settimana avevano schiavizzato
l’America. Erano orribili, avevano quattro occhi, tre teste ed erano viola.
Erano evolutissimi, usavano le macchine volanti e avevano i telefoni che erano
ologrammi.
Noi fummo smistati nel settore dei minerali: lavoravamo ogni
giorno, per compiacere quei mostri ovvero prosciugare il nostro pianeta e poi
distruggerlo. Addirittura non ci fecero neanche festeggiare il capodanno 2020.
Ma noi non ci facciamo dominare e vogliamo combattere per la libertà.
Ora ho venticinque anni, domani proveremo a colpire la base
degli alieni, sto per partire, scrivo questa lettera perché se dovessimo
vincere voglio fare ricordare questo periodo e come prova lascio la pietra
trasparente che alla fine scoprii essere una pietra che gli alieni chiamavano
pietra della speranza.
domenica 5 febbraio 2017
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