domenica 20 marzo 2016

Il pesce, il mare e il morto (racconto giallo di Marta Cappa)

17 marzo 1989 (crociera)

Tutti i passeggeri salirono sulla nave da crociera, era pulita, i vetri delle cabine sembrava che li cambiassero ogni giorno, era maestosa, potente da fare paura.
Un passeggero alto, magro, biondo e occhi azzurri stava salendo con calma, tranquillo, seguito da una donna, che aveva i capelli legati a coda di cavallo, con pinze sparse per i capelli castani e lisci; era magra e aveva gli occhi marroni. Andava di corsa, non si sa perché.
Aveva un mucchio di fogli in mano, molti bianchi che non servivano un gran che visto che la maggior parte erano stampati con lettere e numeri.

Per puro caso, la ragazza si fece distrarre da un  bellissimo pesce che le era familiare, si scontrò con il ragazzo; tutti i fogli volarono per aria. Non se ne accorse nemmeno, continuò per la sua strada incrociando appena il suo sguardo, che le ricordò il piccolo pesce che l’aveva distratta per quell’istante.

19:30 (ponte)

Per l’inaugurazione della crociera avevano organizzato una serata sul ponte; il ragazzo intravvide la ragazza, aveva i suoi fogli in mano perché era sicuro che l’avrebbe rivista, stava venendo dritta verso di lui, ma un cameriere lo intralciò, ormai lei se n’era andata, senza i suoi fogli.


18 marzo 1989 (ristorante)

Sapeva che la camera era nella sua zona, quindi anche il ristorante era lo stesso.
Il ragazzo entrava nel ristorante, senza sapere che pochi tavoli più in là c’era lei, che fissava il cibo sugli altri tavoli: aveva fame, l’odore che c’era le faceva ancora di più venire l’acquolina in bocca e quel senso di vuoto nel suo stomaco le faceva venire il vomito.
I piatti arrivarono a lei e contemporaneamente a lui, sembravano due gocce d’acqua, i loro occhi fissavano i piatti e gli sguardi si incrociarono di nuovo casualmente. Questa volta i suoi occhi le ricordavano il mare che si scaglia tra le rocce, provocandole un male da urlare. La serenità di quella sala venne interrotta da un urlo, seguito da una caduta; la ragazza era per terra con gli occhi chiusi. Il mare si calmò solo quando lui la prese in braccio e la posò sulla sedia.


21 marzo 1989 (bar)

“Mi sento serena con te, non più stressata, meno vincolata, con te sono quella che sono sempre stata.” Era innamorata pazza di lui.
“Linda, mi vuoi sposare?”
“Sì!”

23 marzo 1989 (cabina del capitano)

Ed eccoli lì: erano marito e moglie. Lei: “Finalmente sei felice. Più nessun dispiacere per te!”
Il ragazzo, che si chiamava Geck, non ha avuto un’infanzia semplice. Era cresciuto per la strada, la sua famiglia era povera. Suo padre al parto non assistette, era impegnato nei suoi affari di “lavoro”; un lavoro che l’ha rovinato e che avrebbe fatto morire entrambi i suoi genitori. Tutti i giorni gli portava una rosa sulla tomba: i suoi genitori erano ricercati e morirono durante una rapina in banca.
Non gli piaceva parlare della sua infanzia, per paura che lo escludessero; ma con lei no.
Il giorno della morte dei genitori soffrì tantissimo, aveva 11 anni e non riuscì ad andare al loro funerale. Tutti i giorni gli portava una rosa alla tomba. Ma non cambiava molto, non c’era più nessuno per lui, tutti l’avevano allontanato.
I due adesso erano super felici, si erano sposati, c’era stata una super festa.


Il mattino seguente

I due sposini si erano alzati: andavano a fare colazione, la loro prima colazione insieme.
C’era molta confusione, gente che andava di qua e di là, il personale cercava di tranquillizzarli rassicurandoli.
Ma che cos’era successo?
Un pazzo si avvicinò a lei: ”È morto! È morto, siamo fermi!” le ha urlato nell’orecchio spaccandole quasi un timpano. Un brivido di caldo passò il suo corpo seguito da un brivido di freddo, si sentiva paralizzata. Appena riprese conoscenza, prese la mano a suo marito e iniziò a correre e a correre verso la prua. Arrivati davanti alla cabina G, la cabina del capitano, aprì: c’era corrente, la finestra era aperta, l’arma del delitto non c’era e neanche il corpo; sul muro c’erano schizzi di sangue. Sembrava un suicidio, sul letto c’era il suo cappello, sotto c’era un biglietto con scritto OK. La ragazza, Linda, decise di scoprire perché l’aveva fatto.
Ormai il sole era già alto, Linda si stava già incamminando verso la cabina del capitano, una signora la fermò, si inginocchiò e iniziò a piangere: aveva occhi sconvolti come se avesse visto un morto! È entrata con la paura di vedere un altro morto. Stavolta era un omicidio!

Disteso a terra

Sul petto del morto c’era almeno dieci pugnalate, e aveva battuto forte la testa. Lei gli ha aperto gli occhi per vedere da quanto era morto. I suoi occhi le fecero ricordare i laghi. Non ci fece caso, si interessò ai due fori sul pavimento, come due coltellate. Entrò nel bagno: sul lavandino c’erano pezzi di unghie. Ritornò dal cadavere: le sue unghie non c’erano. La cabina n° 101 era sulla sua agenda insieme a quella del capitano.
Voleva riposare e andò nella sua cabina. Trovò suo marito che guardava la tele: il ventilatore era acceso, gli scombussolava tutti i suoi capelli biondi; in mano aveva le forbici, stava tagliando della carta. Si era fatta la doccia, aveva messo il suo pigiama con le stelle e la luna a forma di biscotto. Si era addormentata; al suo risveglio non c’era più Geck, le aveva lasciato un biglietto con scritto: “Sono andato al ristorante”. Ormai erano le 18: aveva molta fame. Al ristorante trovò suo marito che l’aspettava. Erano seduti uno davanti all’altro. Geck le chiese se le faceva piacere andare al ballo che c’era la sera o se preferiva restare in cabina.
La sera ballavano molto stretti, sembravano una sola persona; dopo un po’ un crampo alla pancia di lui li fece smettere. Lui corse verso la cabina. La sintonia s’interruppe: lei lo rincorse, aprì la porta della cabina ma non c’era, aveva sonno, pensò che suo marito era in infermeria e sprofondò di sonno nel letto.

Mattino

Si era svegliata, lui era di nuovo seduto con il ventilatore: in mano teneva un foglio: “Questo è il tuo nome: 108 105 110 100 97.”
“I numeri del codice ASCII!”
G è la cabina del capitano, 101 equivale alla lettera “e” nel codice ASCII. Che significa Ge?
Lungo il corridoio davanti alla cabina 99 c’erano i nastri con scritto “attenzione”. Un altro morto. Sempre disteso a terra, la sua pancia era tagliata con  un coltello e forbici,si vedevano le budella con le feci. Alla testa avevano infilato  il coltello o le forbici; vicino ai piedi c’era un pezzo di stoffa: jeans. Sul muro c’erano di nuovo spruzzi di sangue e un ventilatore acceso al massimo.
Faceva il bucato quando ha visto che i jeans di Geck erano strappati ed erano dello stesso colore del pezzo di jeans trovato nella cabina del cadavere. Doveva lavarsi la faccia, sul lavandino era pieno di unghie: si guardò le sue e non c’erano più, era agitata, andò davanti al ventilatore, e si spruzzò un po’ di profumo. Delle gocce finirono nel flusso del ventilatore e si spiaccicarono sul muro lasciando delle macchie.
Da lì capì tutto. La cabina 99 significa C. Gec. Per completare il nome basta solo la k, che equivale al n° 107, la sua camera. Geck era il  nome dell’assassino.

Cos’era accaduto…

Lei lo amava veramente ma lui no. L’aveva sposata solo per avere una copertura. La notte stessa del matrimonio era andato a uccidere il capitano, perché la nave si fermasse e lui potesse commettere una strage. Casualmente la cabina del capitano era contrassegnata dalla lettera G: la sua passione per i codici aveva fatto il resto.
Mentre stava finendo il suo ragionamento, entrò in camera l’assassino…

2016

Linda sta scontando in prigione la pena che sarebbe toccata a suo marito. Si sentiva in colpa per lui. Lo aveva ammazzato nella notte, per non essere ammazzata a sua volta.


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