sabato 21 gennaio 2017

L'emigrazione italiana (di Andreea Sarmasan)

L’emigrazione italiana verso il Nuovo Mondo avvenne fra il 1800 e il 1900 da parte di contadini poveri provenienti soprattutto dal sud Italia.
La causa principale era la miseria e la povertà.
L’emigrare era un gesto di libertà e di rivolta, un’opportunità per una nuova vita.
Al momento della partenza occorrevano soldi e passaporto. Al ritiro del passaporto, solo allora, i contadini si accorsero di essere italiani.
Le condizioni del viaggio non erano delle migliori, infatti, viaggiavano nella stiva ammassati.


La notte gli uomini e le donne erano divisi, ma di giorno stavano tutti assieme sul ponte.
Si mangiava e le donne potevano socializzare fra loro, invece gli uomini si annoiavano un po’ non avendo nulla da fare.
La gente aveva il terrore delle tempeste perché essendo stipati all’inverosimile nelle stive c’era il pericolo di morire calpestati.
L’arrivo era ad Ellis Island, un’isoletta vicino a New York.


In quest’isola avveniva un’accurata selezione delle persone e non passavano vecchi, malati, e bambini non accompagnati.
I matrimoni combinati consistevano nello sposare una giovane ragazza emigrata con un uomo che era già in America. I due non si conoscevano, avevano solo visto una foto del promesso sposo o della promessa sposa.
A New York solo fra il 1900 e il 1910 ci furono milioni di emigrati italiani.
Vivevano in quartieri con gente dello stesso paese perché conoscevano solo il loro dialetto e non l’italiano.
I palazzi in cui si stabilivano erano vecchi e nonostante fossero piccoli ci abitavano tante persone assieme agli animali.
Gli italiani svolgevano i lavori più umili come lavorare nelle miniere, come sterratori, costruttori di grattacieli, di ferrovie e metropolitane.
Venivano pagati pochissimo, a volte anche meno del costo del cibo e si dovevano indebitare per poter vivere.
Trovavano lavoro attraverso le locandine e nonostante la misera paga non se ne potevano andare perché firmavano contratti di un anno.
Le condizioni di lavoro erano pessime e non c’erano nemmeno condizioni di sicurezza, infatti, molti operai morivano.


Per la prima volta le donne furono emancipate e cominciarono a lavorare; prima svolgevano dei piccoli lavori come i fiori di carta, successivamente cominciarono a lavorare anche in fabbrica.
Un tragico evento viene ricordato con la festa delle donne.
Quando esse lavoravano i proprietari della fabbrica le chiudevano, nella stanza, a chiave. Un giorno scoppiò un incendio e nessuno si ricordò di aprire quella porta. Tutte le donne che erano presenti in quella camera morirono, o per il fuoco o perché, sperando di salvarsi, si buttarono giù dalla finestra.
Il lavoro permise agli italiani di imparare finalmente l’italiano o meglio un italo-americano.
Chi aveva la famiglia in Italia, ma lui era in America, mandava dei soldi per poterla aiutare: le RIMESSE.


La paura degli italiani era che: se mandavano i figli a scuola essi non erano più italiani imparando l’inglese e le loro abitudini. Successivamente, però, si convinsero e cominciarono a mandare i figli a scuola.
La Mano Nera era un’organizzazione simile alla mafia formata da italiani che andavo a colpire, sempre italiani, ma benestanti con negozi. Li minacciavano chiedendogli dei soldi e se il debito non veniva pagato facevano saltare in aria il negozio.
La discriminazione era molto accentuata da parte degli americani, perché definivano gli italiani dei semi-selvaggi perché vivevano con gli animali, erano cattolici, non sapevano l’inglese e giravano sempre con il coltello in tasca.
Tornarono in Italia più della metà degli emigrati e portarono con loro l’dea che l’America è speranza.

Andreea Sarmasan

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