mercoledì 18 gennaio 2017

L'emigrazione italiana (di Alessia Raso)

Quest’anno come argomento di storia abbiamo studiato l’emigrazione degli italiani in America. Ecco cosa abbiamo imparato.
Dopo la riunificazione italiana agli inizi del ‘900 molti italiani si trasferirono in America. Questo spostamento principalmente riguardava i contadini e in generale i più poveri che per lo più provenivano dal sud Italia. Questa gente partiva alla ricerca di un futuro migliore e di più libertà.
Spesso il momento in cui si ritirava il passaporto era il primo contatto con lo Stato italiano, in cui si capiva di farne parte. Per partire serviva il biglietto che costava molto caro e per acquistarlo i contadini erano disposti a vendere tutto ciò che avevano, dal bestiame alla mobilia ai vestiti.
Quando era tutto pronto si poteva finalmente partire; il viaggio durava all’incirca 15/20 giorni e aveva i suoi alti e bassi.


I contadini viaggiavano in terza classe ma stavano comunque abbastanza bene: da mangiare ce n’era sempre e per chi era povero era una novità, non dovevano lavorare e perciò passavano il tempo in ozio come se fossero ad una festa, suonavano, parlavano e cantavano. C’erano però anche i lati negativi: la notte era difficile, gli uomini erano divisi dalle donne ed erano tutti ammassati nelle stive in condizioni malsane. Inoltre, quando c’erano tempeste e la nave era instabile molti rimanevano schiacciati sul fondo della stiva dalle altre persone.
Per chi si dirigeva a New York lo sbarco era a Ellis Island, un’isoletta al largo della costa dove venivano smistati perché non tutti potevano restare; si facevano visite mediche che spesso erano rifiutate dagli italiani non abituati a questo genere di trattamenti. Oltre a questo dovevano subire dei test di intelligenza che per dei contadini analfabeti erano molto difficili da superare. Erano fatti perché si pensava che la stupidità fosse ereditaria e gli americani non volevano che gli Stati Uniti fossero popolati da “stupidi”. Così alla fine di questi test chi non li aveva superati veniva rispedito in Italia.

Chi restava invece iniziava ad accorgersi che la vita lì non era bella e facile come si pensava.
Arrivati a New York gli emigrati venivano collocati in quartieri abitati da persone della stessa nazionalità e spesso della stessa regione. Le case erano alti palazzi e al suo interno c’erano molti appartamenti abitati da molti famiglie insieme, le condizioni sanitarie erano terribili e spesso ci si ammalava, anche perché spesso in casa tenevano galline o maiali o altri animali da cortile e anche per questo venivano considerati strani e selvaggi.


I lavori che venivano praticati dagli italiani erano umili, precari e poco retribuiti, agli inizi alcuni erano mendicanti e artisti di strada, poi iniziarono a fare i muratori, i minatori, gli operai e a costruire ferrovie. Dovevano lavorare molte più ore rispetto agli americani ed erano pagati meno, così gli operai italiani iniziarono a fare gli scioperi e a protestare.
Gli italiani spesso avevano lasciato le famiglie in Italia e per questo mandavano parte dei loro guadagni in Italia. In quegli anni la vita delle donne italiane cambiò, esse infatti iniziarono a lavorare prima in casa e poi in fabbrica, principalmente lavoravano in laboratori tessili o facevano fiori finti; questi anche se erano lavori umili favorirono la loro emancipazione e la loro importanza nella società perché uscivano più spesso e avevano un loro stipendio.


La vita all’interno della comunità italiana si fece ancora più insidiosa a causa di un’organizzazione mafiosa: la Mano Nera. I delinquenti che ne facevano parte andavano dai bottegai e dai commercianti che avevano fatto più fortuna e li ricattavano minacciandoli di morte, se non si pagava il pizzo. Questo era un altro motivo per gli americani di non fidarsi degli italiani.
Un altro problema era la lingua, gli italiani infatti si rifiutavano di imparare l’inglese e continuavano a parlare il dialetto. Tra gli italiani si era però creata una lingua di passaggio: l’italo-americano, le parole inglesi venivano “italianizzate”, ad esempio fruitstand diventava “fruttostando”. Questa lingua faceva sentire gli italo-americani italiani veri e uniti.
Gli italiani erano oggetto di razzismo da parte degli americani, venivano infatti considerati strani per le loro abitudini ma anche bestie, si pensava che fossero assassini e spesso venivano accusati ingiustamente.


Qualcosa che invece aiutò l’integrazione delle giovani generazioni fu la scuola: i genitori dopo le prime titubanze accettarono di mandare a scuola i bambini che imparando l’inglese iniziarono davvero a far parte del popolo americano.
Dopo circa vent’anni più o meno la metà degli italo-americani tornò in Italia, alcuni con un bel gruzzolo da parte; erano cambiati però, perché in quell’ occasione si erano sentiti veri italiani.           



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