CAPITOLO 6
IL RITROVAMENTO
Mentre camminavamo con le mie amiche dietro, sporche di sangue,
sentimmo dei rumori in un cespuglio. Si misero tutte dietro di me, terrorizzate,
ma dal cespuglio non uscì alcun mostro né bestia, ma un ragazzo, un ragazzo
come noi.
Era un ragazzo alto e magro, capelli ricci e arruffati, aveva i
vestiti strappati sulle maniche e sulla gamba destra. Il ragazzo fece appena in
tempo a dire: “Aiuto …” che svenne battendo la testa in modo violento contro
una radice. Noi ci avvicinammo ed era anch’esso sporco di sangue ovunque.
Dopo circa una mezz’ora iniziò a svegliarsi. Gli chiedemmo: “Per cosa
hai bisogno d’aiuto ?”. Lui riuscì a spiccicare due parole: “Aiuto, m…mostro”
poi gli mancò il fiato, notammo che la maglietta era imbrattata di sangue. Al
campeggio avevamo la cassetta del pronto intervento allora lo aiutammo ad
alzarsi e lo portammo alle tende. Marta guardò quanto era grosso il taglio, era
lungo più o meno 8 cm. Prese l’acqua ossigenata e gliela buttò sulla ferita.
Lui fece una smorfia di dolore e poi chiuse gli occhi, una volta che la ferita
e le mani di Marta furono disinfettate prese ago e filo e gli cucì il taglio e
poi gli bendò la zona dell’addome dove era ferito e lo lasciò riposare un po’.
Dormì quasi tre ore. Quando finalmente si svegliò gli chiedemmo il
significato delle parole pronunciate da lui prima: aiuto e mostro. Lui ci disse
che prima che lo trovassimo noi stava scappando da un essere terrificante,
mostruoso. Io gli chiesi di descrivermelo: lui mi disse che aveva occhi gialli
fluorescenti e delle unghie orribilmente lunghe e taglienti come coltelli e che
erano stati quegli artigli a ferirlo. Ancora non riusciva a camminare ma la
ferita stava guarendo bene.
La sera riuscimmo finalmente a mangiare qualcosa, mentre parlavamo
io gli chiesi il suo nome, e lui mi disse: “Mi chiamo Vittorio”. Lui allora
iniziò a chiederci i nomi; prima a me, poi ad Andre e poi a Marta. Una volta
fatta conoscenza iniziammo a parlare delle nostre vite e di come eravamo finiti
in quel posto orribile.
Iniziò a dire: “Io sono arrivato qui con la mia ragazza, poi, la
prima sera, la trovai accanto a me tutta graffiata con tre graffi sul collo che
si distinguevano dagli altri” … A quelle parole rabbrividii. Le altre lo
ascoltavano attentamente fino a quando si sentì un fruscio in un cespuglio: ci
rifugiammo tutti in tenda.
Un’ombra ci passò accanto poi sparì. Restammo in ascolto per
qualche minuto. Tutto fuori taceva. Mi sporsi all’esterno con la testa. Il
fuoco che avevamo acceso era spento. Dissi: “Meglio stare qui fino a domattina”.
E gli altri annuirono.
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