domenica 23 novembre 2014

Storia "originale"


C’era una volta un bambino di nome Splof. A Splof piacevano tre cose: andare in bici, i legnetti e disegnare fumetti nelle mutande delle persone.


Purtroppo non aveva abbastanza soldi per comprarsi un legnetto tutto suo e se avesse disegnato un altro fumetto sulle mutande altrui avrebbe avuto l’ergastolo.


Allora non gli rimaneva che andare in bicicletta. Gli venne un’idea: “Farò il giro del Giappone in bici!”. “Il Giappone” era un paese in provincia di Cuneo, allora chiamò il suo amico Sproz.

Sproz era un ciccione che pesava 600 kg e parlava solo con versi animali, ma Splof gli voleva bene comunque. “Ciao Sproz.” “Verso del cavallo.“  

Iniziarono il viaggio con le loro provviste: un panino, una scarpa e basta. Videro cose bellissime a “Il Giappone”: samurai, una vecchia, il pesce sushi.

Sproz dalla felicità morì e Splof lo accompagnò all’oltretomba.

Davide Pipino

 

Fiaba di un ragazzo innamorato di nome Ploof


Un ragazzo un giorno andò in un castello abbandonato. Guardando intorno trovò una foto con scritto: AZTCÜN╬Γ. Lui disse le parole e da quella foto uscì una ragazza bellissima. Lui si innamorò e anche lei.

Loro si stavano baciando, quando arrivò un mostro e la rapì.


L’uomo disperato andò per tutti i paesi finché arrivò in una radura, dove spuntò dal terreno un castello nero, rotto e brutto.


Appena entrò il ragazzo Ploof dovette combattere una tigre sputa-fuoco e col corpo da arpia.


La uccise con una spada. Ploof vinse e trovò sul trono il mostro con la principessa.

Il ragazzo distrusse il mostro con una pietra tirata con una fionda.


I due si sposarono e fecero una figlia di nome Rebecca, la giovane arciera.


Davide Peretti

 

lunedì 17 novembre 2014

La giovane arciera e l'oscuro castello


C’era una volta una giovane principessa che stava cacciando nel bosco. Arrivata all’inizio di una radura vide in lontananza un cervo: mise una freccia nel suo arco e con un colpo preciso lo uccise.  Passando sul bordo di un fiume, vide un pesce guizzare sulla superficie dell’acqua e galoppando lo infilzò con una delle sue  infallibili frecce.


All’improvviso sentì il corno suonare l’allarme al castello. Rinunciò alla caccia spronando il cavallo verso casa.



Attraversando l’ultimo bosco prima del castello, sentì dei rami spezzarsi ma non fece in tempo a sfuggire all’agguato.

Lo zio malefico, che nel frattempo aveva rapito e imprigionato i suoi genitori, il re e la regina di cui voleva prendere il posto, in un oscuro castello, l’aggredì. Ne seguì un furioso corpo a corpo dove lei rimase gravemente ferita. Lo zio l’abbandonò in fin di vita nel bosco, rubandole il favoloso arco.
 

Un elfo biondo che abitava in quel bosco, imbattutosi nella ragazza ferita, la riconobbe come figlia del re. Prese il suo corno e lanciò un segnale acutissimo per chiedere aiuto ai suoi compagni, che arrivarono in un batter d’occhio a cavallo dei loro unicorni. Misero la principessa su una lettiga e la portarono al loro villaggio per curarla.


Le medicine elfiche fecero miracoli: in pochi giorni la principessa fu in grado di rimontare a cavallo per dirigersi verso l’ oscuro castello a liberare i suoi genitori, con un nuovo arco che si costruì da sola.
 

Ma arrivata nei pressi della magica dimora dello zio si rese conto della difficoltà dell’ impresa. Un profondo fossato di lava incandescente impediva l’accesso al castello e l’unico ponte era custodito da un‘ orribile chimera creata dallo zio: un drago tigre sputafuoco.
 

Tentò ripetutamente di colpirlo ma le sue frecce si scioglievano in volo avvicinandosi al mostro. Quando stava per rinunciare, arrivò in suo aiuto l’elfo biondo portandole un arco magico forgiato con l’oro di un corno di unicorno. Le sue frecce non potevano in alcun modo essere deviate dal loro bersaglio: il drago tigre fu colpito al cuore e scoppiò lasciando libero il passaggio.
 

I due si precipitarono verso il castello, ma dovettero sfuggire ai piccoli draghi volanti che emergevano dalla lava del fossato. Ne infilzarono almeno due decine e giunsero incolumi all’ingresso del nero castello.
 

Un lungo corridoio di lastre di pietra istoriata conduceva alla sala del trono. L’elfo avanzò deciso, ma cadde in una botola e fu salvato in extremis dalla principessa che gli porse una mano. Capirono che il corridoio era disseminato di trappole. L’elfo, trovati dei sassi pesanti, li lanciò per scoprire le botole e trovare un percorso sicuro.
 

Superato il corridoio vennero assaliti da schiere di armature che si animarono per magia. Dovettero ingaggiare un lungo combattimento, ma ne uscirono nuovamente vincitori.
 

Entrati nella sala del trono, si trovarono di fronte allo zio malvagio e al re e alla regina incatenati. L’arciera vide al collo dello zio un pendaglio con un triangolo d’oro che circondava un occhio pauroso. Capì che quel ciondolo era la causa dell’incantesimo che aveva reso lo zio malefico.


Mirò con cura e colpì con precisione l’occhio del ciondolo.
 

Il mago parve risvegliarsi da un lungo sortilegio: riconobbe il fratello, la cognata e la nipote. Li abbracciò e con una magia, buona questa volta, circondò il nero castello con una nube colorata. Quando la nube scomparve, il castello si era come rasserenato: nel salone c’era una magnifica tavola imbandita, con servi, dame e cavalieri, musiche e danze.

L’arciera e l’elfo biondo si sposarono ed ebbero una schiera di figli, tra cui il nonno del celebre arciere Robin Hood.